Lorenzo, per tutti gli altri
Primi mesi del 1989. In una famiglia un bimbo si ammala di una forma grave di leucemia. Il responso è infausto: solo un trapianto di midollo osseo potrebbe salvarlo. Tutti i familiari vengono tipizzati per la compatibilità HLA, ma invano. Il donatore compatibile non c’è. Si cerca disperatamente un donatore non familiare tra i pochi disponibili. Solamente in Inghilterra, però, è attiva una valida banca dati. Nel resto del mondo, Italia compresa, ci sono solo pochi dati, sostanzialmente non utilizzabili. Il risultato finale è che non vi sono più speranze per Lorenzo, nonostante il trapianto di midollo osseo sia una pratica ormai collaudata da donatore familiare e in via di consolidamento da donatore non consanguineo.
Questo è lo scenario da cui ha preso il via ADMO, una delle più avvincenti imprese degli italiani del recente fine secolo scorso. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
La grande collaborazione fra la componente medica e la componente ‘laica’ e il grande rispetto dei ruoli sono stati le chiavi di volta di un successo impensato. Innanzitutto la semplicità degli obiettivi che il volontariato si era posto e la perseveranza nel perseguirli. All’avvio, ciò che risultava estremamente chiaro era che ogni istante perso rappresentava una vita preziosa che se ne andava, quindi, l’obiettivo primario non poteva che essere il raggiungimento di un grande numero di potenziali donatori iscritti al Registro. E l’Associazione contava moltissimo sulle capacità dei medici e dei biologi italiani, dal punto di vista sia delle loro capacità tecniche sia delle loro potenzialità umane. Queste, forse, ancora più importanti.
Le linee guida che hanno ispirato me, ultimo arrivato sulla scena della solidarietà e sulle quali ho cercato di avviare il lavoro per ADMO, sono state la ricerca di donatori e non di soldi, la tutela di una buona immagine, l’individuazione delle strade più rapide per raggiungere l’obiettivo di essere al servizio dei pazienti tutelando i donatori, la necessità di un’impostazione moderna per distinguersi facilmente fra le tante associazioni grandi e piccole. E poi, estremo rigore: morale, economico, scientifi co. Chiariti gli obiettivi, rimaneva il quesito su come informare la popolazione. Da allora, però, ADMO ha avuto la fortuna d’incontrare professionisti di buona volontà che si sono messi a disposizione per studiare campagne informative gratuite, si è data da fare per lavorare sul reclutamento dei potenziali donatori attraverso azioni di sensibilizzazione, è arrivata a mettere a punto iniziative – diventate anche istituzionali – grazie alla fantasia e alle conoscenze dei soci, ha cominciato ad annoverare donatori-testimonial famosi del mondo sportivo, dello spettacolo, del cinema…
Che cosa auspico per l’ADMO del futuro?
Pensieri che ho già elaborato nel recente passato. C’è la necessità di diversifi care la ricerca del donatore. C’è la necessità di creare una manifestazione solo nostra, che cresca nell’arco di un paio d’anni fino a diventare anche un appuntamento televisivo importante, una manifestazione che parli di ADMO e non cerchi soldi (e la novità sta proprio in questo). E c’è anche la necessità di fornire un supporto scientifi co alle iniziative dell’Associazione. Quello che so per certo, invece, è che grazie a Lorenzo e all’Associazione ho potuto partecipare a una grande impresa, come a pochi uomini sulla terra è dato fare. E l’ho fatto provando, sempre, a volare con la mente e buttando il cuore al di là dell’ostacolo.
Renato Picardi
DICE RENATO PICARDI…
“…talvolta rimpiango il tempo in cui tenevo una conferenza al giorno, a volte due, raramente anche tre. Rimpiango il contatto con la gente, la fiducia e l‚Äôenergia che ricevevo, per continuare la battaglia in nome di ADMO e per migliorare continuamente l‚ÄôAssociazione. Purtroppo per certi versi, per fortuna per altri, ho dovuto seguire sempre pi√π l‚Äôorganizzazione, abbandonando via via il contatto con la gente. Ho cercato di mantenerlo leggendo quanto hanno scritto diverse persone nelle lettere inviateci in Federazione. Ma, soprattutto, ho cercato di mantenerlo ricordando i miei sentimenti nel momento del buio.”