Ho donato e lo farei di nuovo

 In DIRE, Donatori per caso

Ha donato il suo midollo osseo a un malato di leucemia americano. E nello stesso giorno in cui lui si è sottoposto al prelievo, nel medesimo ospedale un suo amico ha effettuato l’autotrapianto, mentre un altro paziente italiano ha ricevuto il midollo dalla Francia. Coincidenze, senz’altro, ma che la dicono lunga su quel filo di autentica comunione capace di legare tutti coloro che sono stati in qualche modo toccati dall’esperienza del trapianto.

La storia di Stefano, 38 anni, residente a Limidi – un lavoro come progettista e una grande passione per il pallone – è quella di un giovane uomo che si è messo in gioco fino in fondo, donando una parte di sé a una persona che non conosce ma che, grazie a lui, continua a vivere. “Mi sono iscritto all’ADMO nel 1993” racconta. “All’epoca ero già un donatore AVIS e quando mi è stato proposto di aderire a questa seconda associazione non mi sono tirato indietro”. Si è quindi sottoposto al prelievo di sangue per la tipizzazione e poi ha ripreso la sua vita di tutti i giorni, comunque consapevole della possibile ma rara compatibilità. Tredici anni dopo, nel 2006, una prima telefonata dal Centro Trasfusionale del Policlinico di Modena ha acceso in lui la speranza di potersi rendere utile. Speranza naufragata prima ancora dell’intervento, però, a causa della morte del paziente… Ma dopo altri tre anni d’attesa, nell’estate del 2009 una nuova chiamata da Modena e, anche questa volta, Stefano non ha esitazioni nel mettersi a disposizione dei medici. Completati gli esami previsti dal protocollo e accertata la compatibilità con il malato – un americano – Stefano ha firmato i documenti di rito per dare il proprio assenso al prelievo. “Sono stato seguito passo dopo passo dai medici del Centro Trasfusionale – racconta – che mi hanno spiegato tutto quello c’è da sapere sull’intervento, eventuali rischi compresi. Come donatore mi sono sentito tutelato e garantito, in ogni passaggio. Anestesia generale, tre giorni di ricovero… Sono stato dimesso di venerdì – continua – e il lunedì ero già al lavoro. I miei valori sono tornati normali nell’arco di una settimana e l’unico sacrificio è stato il non poter giocare a pallone per un paio di settimane. Basta davvero poco per fare qualcosa di concreto…». L’impatto con l’ambiente dell’ospedale, però, ha lasciato il segno. “In quel reparto – osserva Stefano – si può entrare solo con mascherina e calzari. E già da questo si capisce quali siano le condizioni di salute dei ricoverati… Ho conosciuto diversi malati… tanti giovani… Io ero lì e avevo la fortuna di essere sano. Ho provato un senso di impotenza e in quel momento, al quale ha fatto seguito la decisione di fare qualcosa di concreto, anche dopo la donazione”. La normativa vigente, per tutelare i donatori, prevede che il midollo osseo possa essere donato una sola volta, salvo rare eccezioni. Non potendo donare di nuovo, quindi, Stefano è oggi impegnato nella sensibilizzazione di nuovi potenziali donatori: divulga la sua storia, sperando che contribuisca ad accrescere l’interesse nei confronti delle finalità di ADMO. Nel suo intimo, poi, ha iniziato a coltivare un sogno: incontrare, un giorno, la persona che ha ricevuto il suo midollo. “Lo so che i rapporti tra donatore e ricevente sono regolati in modo severo” dice. “Io non conosco nulla dell’americano che ha ricevuto il mio midollo, ma so che il trapianto è andato a buon fine e, tra un anno, avremo la possibilità di scambiarci delle e-mail, sempre attraverso il filtro dell’Associazione. E poi, chissà, magari tra cinque anni potremo anche incontrarci di persona!”.

Rossana Caprari
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