Ho deciso grazie a Paolo Maldini
Sono una ragazza sarda di 24 anni e desidero raccontarvi la mia seconda nascita. Nel giugno del 1984, quando avevo appena sette mesi di vita, mi venne diagnosticata una malattia purtroppo molto diffusa in Sardegna: la thalassemia.
I miei genitori, che avevano entrambi 22 anni, si misero subito alla ricerca di informazioni e quant’altro potesse aiutarli a capire che cosa questo tipo di patologia. Con il risultato di comprendere ben presto che, in mancanza di una terapia adeguata, non avrei potuto avere una vita normale come quella di tanti altri bambini. E così, un mese dopo la diagnosi, iniziai con le trasfusioni di sangue necessarie per stabilizzare l’emoglobina (che avvenivano in media ogni venti giorni): sempre accompagnata da mia madre, iniziai prima a frequentare il centro trasfusionale microcitemico di Cagliari e, successivamente, quello di San Gavino. Assieme alle trasfusioni cominciai anche la terapia ferro- helante, somministrata mediante un infusore che spingeva il farmaco sotto la cute per dodici ore. Fino all’età di 12 anni era compito di mia madre ‘pungermi’ per sistemare l’infusore, ma, successivamente, imparai a farlo da sola, anche perché volevo essere più indipendente e libera.
Per sedici anni la mia vita è stata un dentro e fuori dagli ospedali. Ho sempre accettato la malattia, però, pur nella consapevolezza dei limiti che m’imponeva. E, soprattutto, sono sempre stata fiera del mio carattere, che non mi ha mai fatto vergognare di essere malata, tanto da impormi di non parlare della mia malattia per la semplice ragione che, in qualche modo, poteva farmi apparire – agli occhi degli altri – diversa dalla persona che in realtà ero.
Sapevo che l’unica speranza di vita poteva essere un trapianto di midollo osseo, ma non ho mai voluto provare. Fino a quando, un giorno, per caso scopro che il mio idolo del calcio, Paolo Maldini, è un potenziale donatore di midollo osseo. Con la testa piena dei sogni di una ragazzina della mia età, chiesi a mia madre d’iscrivermi nella banca del midollo osseo, con la speranza che a ridarmi la vita potesse essere proprio Paolo…
Dopo essere stata sottoposta a tutti gli esami necessari, m’informarono che non era così facile trovare un donatore compatibile, ma che comunque valeva la pena credere fortemente che la possibilità, invece, diventasse realtà. Sei mesi appena e la tanto attesa telefonata: “Silvia, abbiamo trovato un potenziale donatore!”. Iniziai tutti gli esami di verifica e l’esito finale si concretizzò in donatore compatibile al 98%, quasi un gemello. Terminati gli accertamenti riguardo al mio quadro clinico, finalmente fu organizzato il trapianto. All’inizio ero molto perplessa sulla scelta che io stessa avevo fatto, lo confesso, soprattutto perché mi rendevo conto che stavo incamminandomi su una strada che aveva due vie d’uscita: la vita o… Ma forte del sostegno dei medici del CTMO Binaghi e dei miei genitori ho creduto di potercela fare. E così è stato! Il 2 ottobre 2000 sono stata sottoposta al trapianto: per 25 giorni sono rimasta in camera sterile ma, nonostante non potessi incontrare nessuno, è stata comunque un’esperienza bellissima. Credo di non aver mai conosciuto medici e infermieri con così tanta sensibilità e passione per il loro lavoro: praticamente, trascorrevo le giornate divertendomi in qualche modo con loro. Una volta dimessa, anche a casa mia non potevo stare a contatto con la gente, nel timore di eventuali infezioni. Ma sono stata comunque molto attenta a tutto ciò che i medici mi dicevano di fare o non fare: ho eguito alla lettera i loro ordini.
Così dopo quattro mesi ho iniziato a uscire con la mascherina (sempre facendo attenzione a tutto ciò che poteva recarmi qualche danno), dopo sette ho invece tolto la mascherina e, lentamente, ho ripreso la mia vita quotidiana. Complessivamente, quasi un anno e mezzo di cure sotto stretto controllo, ma mi ritengo fortunata perché, di tutto ciò che avevo messo in preventivo mi otesse accadere, non è successo nulla. Un trapianto perfetto, quasi una miracolo, dicono i medici. In tutta questa storia la fortuna ha avuto sicuramente un ruolo importante ma, sinceramente, credo che molto sia dipeso da me, dalla mia forza di volontà, e dai medici. Ho sempre accettato tutto ciò che mi imponevano perché sapevo che lo dicevano esclusivamente nel mio interesse. Certo, di sacrifi ci ne ho fatti tanti, ma se in cambio c’è la vita ne vale davvero la pena. All’inizio ho detto di volervi raccontare la mia seconda nascita… Già, perché è stato proprio allora che ho iniziato a vivere come tutte le ragazze della mia età, senza più legami, vincoli o timori per la mia salute.
A distanza di sette anni ho deciso di far qualcosa per chi, come me, vuole avere la speranza di trovare un donatore e, assieme ad altre persone del mio paese, abbiamo costituito una sezione ADMO, con l’intento di riuscire a sensibilizzare tanti giovani che, con un piccolo gesto, potrebbero donare la vita. Lo so, il mio donatore non era Paolo Maldini, ma sicuramente è una persona straordinaria, che con la sua sensibilità è riuscita a ridarmi la vita. Penso di non poter trovare parole adeguate per ringraziare questo donatore (per me sconosciuto), ma ciò che ha fatto è immenso e spero che in qualche modo la sua stessa vita gliene sia grata. A tutti i ragazzi e le ragazze che, come me, accarezzano la speranza di nascere una seconda volta dico credeteci!
I miei genitori, che avevano entrambi 22 anni, si misero subito alla ricerca di informazioni e quant’altro potesse aiutarli a capire che cosa questo tipo di patologia. Con il risultato di comprendere ben presto che, in mancanza di una terapia adeguata, non avrei potuto avere una vita normale come quella di tanti altri bambini. E così, un mese dopo la diagnosi, iniziai con le trasfusioni di sangue necessarie per stabilizzare l’emoglobina (che avvenivano in media ogni venti giorni): sempre accompagnata da mia madre, iniziai prima a frequentare il centro trasfusionale microcitemico di Cagliari e, successivamente, quello di San Gavino. Assieme alle trasfusioni cominciai anche la terapia ferro- helante, somministrata mediante un infusore che spingeva il farmaco sotto la cute per dodici ore. Fino all’età di 12 anni era compito di mia madre ‘pungermi’ per sistemare l’infusore, ma, successivamente, imparai a farlo da sola, anche perché volevo essere più indipendente e libera.
Per sedici anni la mia vita è stata un dentro e fuori dagli ospedali. Ho sempre accettato la malattia, però, pur nella consapevolezza dei limiti che m’imponeva. E, soprattutto, sono sempre stata fiera del mio carattere, che non mi ha mai fatto vergognare di essere malata, tanto da impormi di non parlare della mia malattia per la semplice ragione che, in qualche modo, poteva farmi apparire – agli occhi degli altri – diversa dalla persona che in realtà ero.
Sapevo che l’unica speranza di vita poteva essere un trapianto di midollo osseo, ma non ho mai voluto provare. Fino a quando, un giorno, per caso scopro che il mio idolo del calcio, Paolo Maldini, è un potenziale donatore di midollo osseo. Con la testa piena dei sogni di una ragazzina della mia età, chiesi a mia madre d’iscrivermi nella banca del midollo osseo, con la speranza che a ridarmi la vita potesse essere proprio Paolo…
Dopo essere stata sottoposta a tutti gli esami necessari, m’informarono che non era così facile trovare un donatore compatibile, ma che comunque valeva la pena credere fortemente che la possibilità, invece, diventasse realtà. Sei mesi appena e la tanto attesa telefonata: “Silvia, abbiamo trovato un potenziale donatore!”. Iniziai tutti gli esami di verifica e l’esito finale si concretizzò in donatore compatibile al 98%, quasi un gemello. Terminati gli accertamenti riguardo al mio quadro clinico, finalmente fu organizzato il trapianto. All’inizio ero molto perplessa sulla scelta che io stessa avevo fatto, lo confesso, soprattutto perché mi rendevo conto che stavo incamminandomi su una strada che aveva due vie d’uscita: la vita o… Ma forte del sostegno dei medici del CTMO Binaghi e dei miei genitori ho creduto di potercela fare. E così è stato! Il 2 ottobre 2000 sono stata sottoposta al trapianto: per 25 giorni sono rimasta in camera sterile ma, nonostante non potessi incontrare nessuno, è stata comunque un’esperienza bellissima. Credo di non aver mai conosciuto medici e infermieri con così tanta sensibilità e passione per il loro lavoro: praticamente, trascorrevo le giornate divertendomi in qualche modo con loro. Una volta dimessa, anche a casa mia non potevo stare a contatto con la gente, nel timore di eventuali infezioni. Ma sono stata comunque molto attenta a tutto ciò che i medici mi dicevano di fare o non fare: ho eguito alla lettera i loro ordini.
Così dopo quattro mesi ho iniziato a uscire con la mascherina (sempre facendo attenzione a tutto ciò che poteva recarmi qualche danno), dopo sette ho invece tolto la mascherina e, lentamente, ho ripreso la mia vita quotidiana. Complessivamente, quasi un anno e mezzo di cure sotto stretto controllo, ma mi ritengo fortunata perché, di tutto ciò che avevo messo in preventivo mi otesse accadere, non è successo nulla. Un trapianto perfetto, quasi una miracolo, dicono i medici. In tutta questa storia la fortuna ha avuto sicuramente un ruolo importante ma, sinceramente, credo che molto sia dipeso da me, dalla mia forza di volontà, e dai medici. Ho sempre accettato tutto ciò che mi imponevano perché sapevo che lo dicevano esclusivamente nel mio interesse. Certo, di sacrifi ci ne ho fatti tanti, ma se in cambio c’è la vita ne vale davvero la pena. All’inizio ho detto di volervi raccontare la mia seconda nascita… Già, perché è stato proprio allora che ho iniziato a vivere come tutte le ragazze della mia età, senza più legami, vincoli o timori per la mia salute.
A distanza di sette anni ho deciso di far qualcosa per chi, come me, vuole avere la speranza di trovare un donatore e, assieme ad altre persone del mio paese, abbiamo costituito una sezione ADMO, con l’intento di riuscire a sensibilizzare tanti giovani che, con un piccolo gesto, potrebbero donare la vita. Lo so, il mio donatore non era Paolo Maldini, ma sicuramente è una persona straordinaria, che con la sua sensibilità è riuscita a ridarmi la vita. Penso di non poter trovare parole adeguate per ringraziare questo donatore (per me sconosciuto), ma ciò che ha fatto è immenso e spero che in qualche modo la sua stessa vita gliene sia grata. A tutti i ragazzi e le ragazze che, come me, accarezzano la speranza di nascere una seconda volta dico credeteci!
Silvia Loru
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