Da qualche parte nel mondo…

 In Storie vere

È iniziato tutto 11 anni fa con un semplice esame del sangue. Tutto andava bene fino a quel momento, ma al ritiro dell’esito qualcosa non andava. Da quel momento la mia vita è cambiata.

Sono stata visitata da molti medici ma nessuno faceva una precisa diagnosi. Dopo tanti ricoveri, biopsie midollari, siamo andati a Palermo, all’ospedale V. Cervello. La diagnosi fu: ANEMIA DI FANCONI CON MIELODISPLASIA.
Il nome faceva già trapelare che non sarebbe stata una passeggiata. Una malattia congenita, rara. L’unica via d’uscita il trapianto. Avevo bisogno di un trapianto di midollo osseo per continuare a vivere.
Da quel preciso istante è iniziato il mio calvario. Ero sfinita da tutti quegli esami: a volte anche 18 prelievi al giorno senza parlare delle biopsie continue.

Pensavo che il Signore mi avesse abbandonato, che si fosse dimenticato di me, che avessi sbagliato e per quello dovevo pagare, così ho iniziato a perdere la fede in Lui. Mi arrabbiavo con chiunque nominava malattie o ospedale. Più ci pensavo e più mi domandavo perché proprio io? Cosa avevo fatto di male? Se non fossi mai nata non avrei causato così tanto dolore alla mia famiglia!
Dentro di me provavo tanto dolore, talmente tanto da chiudermi nel mio piccolo mondo…
I giorni passavano, ma per me, era solo una questione di tempo.

Un giorno ci chiamarono per fare degli esami di compatibilità. Quella mattina io e la mia famiglia (i miei genitori e mio fratello) entrammo nel centro trasfusionale. Fecero loro per primi gli esami, io fui chiamata per ultima.
Mentre attendevo iniziai a sfogliare degli opuscoli sulla donazione del sangue; in uno di questi trovai una lettera di un ragazzo di nome Rossano. Raccontava la sua storia: malato di leucemia, in attesa di un midollo che non arrivava mai… In alto a sinistra della pagina un piccolo sommario recitava così: “le ultime volontà di un giovane che come tanti è stato condannato a morte per la mancanza di strutture e di donatori di midollo osseo compatibile”.

La lettera era datata 2.10.1989: quel giorno aveva letto sulle analisi la sua condanna. È morto 7 giorni dopo… aspettando quel midollo che non arrivò mai. Nella sua lettera sperava che entro il 2000 la leucemia fosse debellata.
Che strane coincidenze! Eravamo nel 2000 e io stavo leggendo la sua lettera, ed ero affetta da una malattia simile alla sua.
Fu allora che pensai, presa dall’angoscia: finirà così anche per me!
Non potevo fare altro, dovevo solo aspettare.

Qualche giorno dopo la notizia: io avevo un donatore, compatibile al 100%, mio fratello.
Una settimana dopo Giuseppe entrava in sala operatoria per cercare di salvarmi la vita. Poco dopo entravo in camera sterile. Quattro giorni di chemioterapia, esami di ogni tipo: ogni parte del mio corpo era stata controllata.
Mi attaccarono a una macchina con funzione di pulizia del sangue e il giorno seguente, l’11.11.2000 arrivò il giorno zero! Il giorno del trapianto!

Sono rimasta in camera sterile per 40 giorni; non potevo uscire né vedere nessuno: a soli 13 anni queste cose mi pesavano!
Conoscevo ormai i passi dei dottori, il rumore delle ventole che purificavano l’aria perché le finestre erano sigillate: mi sentivo rinchiusa in una gabbia. Ero continuamente attaccata a una macchina, che suonava tutte le volte che una piccolissima bollicina d’aria si formava all’interno del tubicino delle flebo. Furono i 40 giorni più brutti della mia vita.

Il 9 dicembre del 2000 uscii dall’ospedale, con la mascherina, senza capelli, grassa, ma con le mie gambe. Pensavo che una volta tornata a casa tutto sarebbe stato più facile, ma mi sbagliavo; la salita era appena iniziata. Con il trapianto era volato via tutto, anche la gioia di vivere. Mi guardavo allo specchio, ma non mi riconoscevo più.
Il silenzio aveva preso il sopravvento. Se prima l’ospedale mi sembrava una gabbia, la mia casa era diventata una gabbia d’oro. Fortunatamente fu solo questione di tempo; dopo qualche mese i valori iniziarono a stabilizzarsi, non avevo segni di rigetto, non avevo preso infezioni, i capelli cominciavano a crescere, ogni cosa tornava al proprio posto, solo in maniera diversa.

La mia testimonianza non vuole nascondere nulla; affrontare un trapianto a volte può essere una cosa più grande di noi, ma allo stesso tempo grazie al trapianto, grazie ai miei angeli custodi (uno è mio fratello Giuseppe, l’altro devo ancora conoscerlo) posso raccontarvi la mia storia. Mi chiamo Alessandra, qualche anno fa ho subito un trapianto di midollo osseo. Adesso conduco una vita normalissima. Ora ringrazio il Signore per il dono della vita che mi ha concesso una seconda volta e affronto la vita di ogni giorno con le sue difficoltà con la consapevolezza di essere amata da Lui.

Per tutti noi, da qualche parte nel mondo, c’è una persona “geneticamente gemella”. Dobbiamo solo sperare che questo “fratello gemello” sia disposto a donare una parte di sé … Aiutate a ridare una vita, come mio fratello l’ha ridata a me!

Alessandra

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