Chiodo cerca chiodo
Ho raccontato questa storia un numero pressoché infinito di volte, fino ad averne quasi la nausea. E non va bene, se la storia della tua vita (o, almeno, di una parte di essa) ti fa venire l’angoscia. Ma può capitare e il segreto per superare ciò sta tutto in quel ‘quasi’, nella sua gestione, nel vedere il bello anche dove sembra impossibile esserci.
Mi chiamo Giovanni. Gli amici mi chiamano Spit. Spit è metà del mio cognome ed è anche il nome di una specie di chiodo usato in arrampicata: resta dove lo pianti, tenace e piuttosto affidabile. Per questo il soprannome datomi mi è sempre piaciuto.
Nel settembre del 2009 ho preso una decisione, abbastanza ponderata e di cui andavo decisamente orgoglioso: mi sarei fatto tipizzare, sarei diventato un potenziale donatore di midollo osseo e avrei provato a salvare la vita a qualcuno. Avevo già l’appuntamento fissato in ospedale. La vita, però, è strana e le cose non vanno quasi mai secondo i nostri progetti.
A novembre di quello stesso anno ho iniziato a stare poco bene: lividi, mal di testa continui, fatica nel fare ogni cosa e altri fastidi. Ho cominciato a preoccuparmi e un esame del sangue ha chiarito ogni dubbio: aplasia midollare idiopatica. Midollo osseo vuoto, praticamente. Ironico.
Non sarei mai diventato donatore di midollo osseo, anzi, avrei avuto bisogno io stesso di qualcuno molto simile a me, nelle intenzioni e nella compatibilità HLA. Dopo la diagnosi non è stato possibile trovarlo nel Registro, per cui ho iniziato un percorso di terapie in ospedale e cure farmacologiche. Sono stati giorni difficili, per me, la mia famiglia, i miei amici. Un ricovero si affronta sempre in team e, di quei giorni, mi piace ricordare ‘il nido’ di umanità e competenza che ho trovato nella divisione di ematologia dell’ospedale di Vicenza. Sono uscito diverso da quel reparto. Malconcio e provato nel fisico, ma sicuramente più affilato, come un coltello: ho capito che, pur non potendo mai donare il mio midollo osseo, sarei comunque stato in grado di fare la differenza. Forse per me stesso, sicuramente per qualcun altro.
Alcuni volontari ADMO di Bassano del Grappa (primo fra tutti Alessandro Pegoraro) e io abbiamo deciso di iniziare dalle scuole. Parlare ai ragazzi, spiegare loro la necessità etica e pratica di diventare donatori di midollo osseo, fondamentalmente… persone attente al loro prossimo. E abbiamo raccolto subito ottime risposte: nel 2010 i tipizzati della città sono stati oltre 500. Ma poiché è necessario arricchire il Registro di potenziali donatori con caratteristiche genetiche diverse tra loro, è apparsa evidente la necessità di varcare i confini del comune. Passo successivo: la provincia, sempre coinvolgendo le scuole e mettendo a punto eventi di sensibilizzazione di ogni genere.
Eppure anche la provincia si è rivelata piccola…
E mentre ci impegnavamo a pensare in grande, ho avuto la fortuna di conoscere Pietro Dal Prà, grande arrampicatore, tipizzato e testimonial ADMO. Ecco l’idea giusta! Chi pratica l’arrampicata ha una naturale attenzione per il compagno di cordata, al quale affida la propria vita o della cui vita deve rispondere. E di arrampicatori ce ne sono non soltanto in tutt’Italia, ma in tutto il mondo!
Abbiamo così iniziato a partecipare ai grandi eventi nazionali, per parlare, raccontare, spiegare, informare. Abbiamo anche realizzato T-shirt a tema ADMO, attualmente indossate dal Nord al Sud del nostro Paese (e non soltanto!).
Oggi, a un anno dal nostro incontro, Dal Prà e io siamo pronti a partecipare al Melloblocco, il più grande evento di arrampicata d’Europa: abbiamo macchine e furgoni carichi di magliette, pieghevoli, poster, adesivi e quant’altro possa essere utile per la sensibilizzazione dei potenziali donatori; abbiamo creato ‘Climb for life’, iniziativa promossa e sostenuta da ADMO per parlare di donazione a un pubblico internazionale, senza frontiere. E Adam Ondra, il più forte arrampicatore del mondo, di origine ceca, è stato tipizzato all’inizio del 2011.
Ma ancora non basta.
Voglio continuare a non sentirmi appagato dalle iniziative che stiamo mettendo a punto perché l’appagamento è il primo passo per fermarsi. Voglio continuare a essere insoddisfatto il più a lungo possibile. Voglio pensare solo alle cose da fare (su quelle già fatte posso soffermarmi quando mi sento troppo stanco e cotto per continuare), perché è necessario andare sempre avanti – senza vincoli, confini, bandiere – non dimenticando mai lo scopo di quanto sto condividendo con altri amici: far sì che nessuno, un giorno, debba andarsene perché il suo ‘donatore-medicina’ non c’è. E, magari, se avanza tempo non vorrei andarmene neppure io.